Domenica 23 marzo, a Parigi si è votato per decidere la chiusura al traffico di 500 strade, da riconvertire in spazi ciclabili, aree verdi e pedonali. Ha vinto il “sì” con il 66% dei voti.
La proposta delle "strade giardino" era sostenuta dalla sindaca Hidalgo, da anni promotrice di una città meno dipendente dall’auto. Ora partiranno gli studi di fattibilità per selezionare le strade, deviare il traffico e avviare i lavori, con una spesa prevista di 500 mila euro per via.
L’iniziativa è coraggiosa e importante. Si inserisce nel solco di un programma che sta già cambiando il volto di Parigi. È in questa direzione che dovrebbero muoversi tutte le grandi aree urbane.
Proprio per rafforzare questo tipo di sforzi, però, ci sono almeno due criticità che penso meritino più attenzione.
La prima riguarda il contesto.
Misure del genere sono oggi possibili laddove la rete di trasporti pubblici è estesa, i servizi sono diffusi e l’alternativa all’auto è concreta. Ma altrove – nelle periferie e nelle aree rurali – l’auto resta spesso l’unica opzione.
Senza investimenti strutturali che rendano l’intero sistema più equo, il rischio è quello di rendere ancora più profonda la frattura tra chi può permettersi uno stile di vita “sostenibile” e chi non ha alternative. Un divario tra grandi aree urbane e resto del territorio che si riflette anche sul piano sociale, culturale e politico, trasformandosi facilmente in risentimento.
Per ogni euro investito per migliorare la qualità della vita nelle grandi aree urbane, dovremmo probabilmente investirne il doppio per colmare i gap infrastrutturali con i territori che le circondano.
Il secondo problema, invece, riguarda la consultazione in sé. E il modo in cui è stata presentata (e digerita dai media). Perché, soprattutto quando si parla di partecipazione, i termini sono importanti.
Quello che è stato chiamato “referendum” in realtà lo era solo in parte: nessun quorum, nessun vincolo e un’affluenza molto, molto bassa (nei fatti ha votato solo il 4% degli aventi diritto).
Coinvolgere la cittadinanza ha sempre un valore, ma farlo in modo troppo rigido e semplice, in assenza di vincoli, rischia di svuotare il processo e dare la sensazione di voler legittimare decisioni già prese, senza favorire una reale partecipazione.
Meglio forse non parlare di “referendum”, ma presentare il tutto più onestamente come una più semplice consultazione. Cogliendo però l’occasione per svincolarsi da una logica binaria e banalizzante, provando a coinvolgere la popolazione nel formulare scenari alternativi, definire su quali strade intervenire in via prioritaria e valutare gli impatti che tale misura potrebbe avere sulla riduzione del traffico veicolare.
Avete consigli su come affrontare queste due sfide, in particolare?
Per fortuna, sono tante le città che stanno sperimentando cambiamenti radicali di rotta.
Imparare a farlo al meglio è nell’interesse di tutte e tutti noi.
Davide
FROM – Moltiplichiamo valore pubblico