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La Ragione - leAli alla libertà è un quotidiano d'opinione di ispirazione liberaldemocratica ed europeista diretto da Fulvio Giuliani in qualità di Direttore Responsabile e Davide Giacalone come Direttore Editoriale. Ogni giorno idee, approfondimenti, proposte e analisi. In edicola dal martedì al sabato a 50 cent, gratis online su sito e App #LaRagione

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11-50 dipendenti
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Aggiornamenti

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    L’occhio pesto, i lividi sulle gambe. Sono immagini impressionanti, le immagini che raccontano la storia di Gaia, 25 anni. La storia di una donna sopravvissuta a un brutale pestaggio, che poteva finire nell’ennesimo femminicidio. Gaia la sua storia la racconta al deputato Francesco Emilio Borrelli, ed è il racconto della violenza subita da parte del suo ex, padre di suo figlio. Un uomo di 36 anni che alcuni giorni fa l’ha aggredita e brutalmente picchiata, insieme a due amici. È successo a Napoli, lui è arrivato, l’ha scaraventata fuori dalla macchina e ha iniziato a colpirla. Pugni, calci, addirittura prova a buttarla giù dal belvedere. Poi la trascina nella sua auto e lì continua a picchiarla. Per fortuna Gaia trova il telefono e fa partire una telefonata al padre. Una telefonata in cui si sente in diretta, quel pestaggio. Una telefonata in cui Gaia riesce miracolosamente a chiedere aiuto. A quel punto, solo a quel punto, l’uomo si ferma. La lascia a terra e scappa. Verrà poi arrestato. Ma Gaia lo dice senza mezzi termini: “Credevo di non uscirne viva. Sono sopravvissuta a un femminicidio”. E quelle immagini, i suoi lividi, il suo scioccante racconto e il coraggio di mostrarsi, sono la dimostrazione di come ogni giorno si continuino a consumare episodi di violenza come questi. Episodi come quelli che abbiamo raccontato nei giorni scorsi, con un epilogo ancora più tragico. di Annalisa Grandi

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    Dopo 4 ore di interrogatorio, la madre di Mark Samson - il 23enne che ha tolto la vita alla 22enne Ilaria Sula - ha confessato di aver aiutato il figlio. La donna, di conseguenza, ha avuto un ruolo “attivo”. “Ho aiutato mio figlio a pulire le macchie di sangue in casa” ha ammesso oggi Nors Marlapz. La donna - lo ricordiamo - era stata iscritta sul registro degli indagati con l’accusa di concorso in occultamento di cadavere. di Mario Catania

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    “L’imperatore (Francesco Totti) sta arrivando nella terza Roma (Mosca)” recitava un cartellone pubblicitario esposto nella capitale russa lo scorso 16 marzo. Da quel momento si sono susseguite numerose polemiche e tantissime persone - esponenti politici, tifosi romani, fan di Totti - avevano chiesto a “Er pupone” di non andare in Russia come ospite d’onore dell’International RB Award. Un evento – lo ricordiamo - con cadenza annuale, organizzato da uno dei principali organi di informazione russi dedicato allo sport e alle scommesse. Visto il periodo storico alquanto complicato che stiamo vivendo. Richieste che esprimevano dissenso e facevano un chiaro riferimento a un “punto di vista etico e morale”. E che mostravano tanta indignazione: “Non andare in Russia capitano”, “Vergogna Totti”, “Che brutta fine”, alcuni fra i commenti scritti sui social network. Ma, nonostante il periodo storico, le polemiche e le possibili ripercussioni da un punto di vista dell’immagine del bravissimo calciatore, Totti ha deciso di “dribblare” le critiche e, qualche ora fa, è atterrato in Russia. “Er pupone” è stato accompagnato, per l'occasione, dal figlio Christian. Tkhalidzhokov, ceo di Bookmaker Rating, ha poi svelato quanto costerà la “visita” di Totti a Mosca: "Senza dettagli precisi ma si tratta di una somma in euro a sei cifre”. È l'ambasciatore più costoso nella storia del premio? “Penso di sì" risponde. Nei giorni scorsi, per provare a smorzare le polemiche, Francesco Totti aveva deciso di rilasciare una dichiarazione all’Ansa spiegando che da uomo di sport ne promuove “i valori in giro per il mondo”. “Il mio viaggio di lavoro a Mosca, da giorni, suscita infinite polemiche - dice “Er Pupone” - Ma io non sono un politico né un diplomatico, sono un uomo di sport che ne promuove i valori in giro per il mondo. L'ho sempre fatto: prima come calciatore e adesso in una nuova veste. Da anni vado in tutti i Paesi in cui mi invitano a parlare di sport e non avrei problemi ad andare a Kiev, per le stesse finalità”. Sono proprio i “valori” che oggi stanno facendo molto discutere. E non stiamo parlando di quelli sportivi. di Filippo Messina

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    La madre di Marc Samson, il 23enne che ha tolto la vita alla 22enne Ilaria Sula, è ora indagata per concorso in occultamento di cadavere. Lo rivela Fabrizio Gallo, l’avvocato del 23enne arrestato. "Il padre di Marc Samson invece non verrà ascoltato oggi - rende noto Gallo - Lui non era in casa e questo è assodato, rientra la sera e l'omicidio avviene a metà mattina. La madre invece era in casa e adesso - è in corso l’interrogatorio - sta chiarendo quali sono state le sue condotte”. L’avvocato Gallo prosegue:  "Adesso è il momento di chiedere scusa e perdono alla famiglia di Ilaria Sula. È l'unica cosa che mi sento al momento di dire. Ci associamo al dolore della famiglia. Noi facciamo il nostro dovere ma non possiamo non dire che il ragazzo deve pagare e che il fatto è grave". di Mario Catania

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    Tonfo di Wall Street - ancora una volta - in apertura. Dow Jones: -2,77%, a 37,235.63 punti; Nasdaq: -3,89%, a 14,982.07 punti; S&P 500: -3,13%, a 4,913.97 punti. Si prospetta quindi un vero e proprio “lunedì nero” a Wall Street. In scia con gli altri mercati finanziari di tutto il mondo. Nel frattempo infatti affondano i mercati mondiali: dopo l’avvio dei dazi voluti dal presidente statunitense Donald Trump sono stati “bruciati” ben 9.500 miliardi di dollari sulle piazze globali. Il calcolo è stato aggiornato da Bloomberg dopo il crollo delle piazze asiatiche (di questa mattina) e l'andamento negativo - che persiste - in Europa. Trump rimane determinato a portare avanti la sua politica commerciale. Ma resta comunque "pronto" ad ascoltare i Paesi che presenteranno "accordi davvero vantaggiosi" riguardo i dazi. Lo afferma Kevin Hassett - il consigliere economico della Casa Bianca - in un'intervista a Fox News. Hassett spiega: "Trump sta raddoppiando su qualcosa che sa che funziona". Il tycoon - secondo il consigliere economico della Casa Bianca - "continuerà su questa strada" ma "ascolterà anche i nostri partner commerciali. E se arriveranno con grandi accordi che favoriscano la manifattura e l'agricoltura americane, sono sicuro che li prenderà in considerazione".

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    Il simbolo del rilancio della cultura e della tradizione teatrale e musicale napoletana nel mondo. Questo (e non solo) è stato Roberto De Simone, morto a quasi 92 anni in queste ore. Musicista, compositore, regista, musicologo e antropologo, il maestro De Simone si è spento nella sua casa, al centro di Napoli. Due mesi fa fu ricoverato per una polmonite. E’ una delle anime della cultura partenopea: estremamente radicato nell’identità meridionale, sebbene abbia firmato regie per i più grandi teatri, dalla Scala al San Carlo, De Simone ha riportato alla luce capolavori dimenticati del Settecento napoletano, con uno sguardo rivolto alla tradizione e a un teatro popolare, colto. Un percorso che era segnato dalla nascita: il nonno era attore teatrale nella compagnia di Salvatore De Muto, che è stato l’ultimo grande Pulcinella. De Simone da ragazzo era affascinato dal teatro musicale, con il palcoscenico che era la sintesi tra parole e note. Quasi 60 anni fa De Simone ha scritto un pezzo di storia, fondando, assieme ad altri artisti come Eugenio Bennato, la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Era l’alba di un nuovo filone folk, mescolando generi e favole. Lui è stato il direttore artistico della Compagnia, il mattatore e la mente di un decennio straordinario di successi. Clicca sul link per leggere l'articolo completo di Nicola Sellitti: https://lnkd.in/dDpuXBCn

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    Quando guardo a quello che sta succedendo oggi… non credo che ciò che abbiamo appena visto in termini di politica economica e dazi sia positivo per l’America, ma quella è una questione di merito. Mi preoccupa molto più vedere un governo federale che minaccia le università se non rivelano i nomi degli studenti che esercitano il loro diritto alla libertà di parola. Mi preoccupa molto di più l’idea che una Casa Bianca possa dire a uno studio legale: “Se rappresentate persone che non ci piacciono, vi toglieremo tutto il nostro lavoro e vi impediremo di esercitare efficacemente.” Immaginate se l’avessi fatto io. Immaginate se avessi tolto le credenziali alla Fox News dalla sala stampa della Casa Bianca. Immaginate se avessi punito economicamente chi dissentiva dalla riforma sanitaria o dall’accordo con l’Iran. Se avessi “individuato” studenti che protestavano contro le mie politiche. È impensabile. E i partiti che oggi tacciono, non avrebbero mai tollerato un comportamento del genere. Questo è il primo discorso pubblico da un po’ di tempo. Ho osservato, ho ascoltato. Sta a tutti noi rimettere a posto le cose. Non arriva qualcuno a salvarci. L’ufficio più importante in questa democrazia è il cittadino che dice: “no, questo non va bene”. Penso che uno dei motivi per cui il nostro impegno verso gli ideali democratici si sia eroso è che ci siamo adagiati. È stato facile, per la maggior parte della nostra vita, dire: “Sono progressista.” “Sono per la giustizia sociale.” “Sono per la libertà di espressione.” E non pagare alcun prezzo per dirlo. Ora, invece, siamo in uno di quei momenti in cui non basta dirsi favorevoli a qualcosa. Bisogna fare qualcosa e forse bisogna sacrificare qualcosa. Se intimidita, l’università dovrebbe dire: “Ecco perché abbiamo questo grosso fondo di dotazione. Pagheremo i nostri ricercatori con quello, per un po’. Rimanderemo la costruzione della nuova ala del campus o della palestra di lusso, perché la libertà accademica è più importante”. Dopo George Floyd, le persone erano tutte presenti. Tutte le aziende dicevano di tenere alla diversità, alla giustizia sociale. E adesso? Tutti zitti. E questo mi dice che andava bene finché era di moda, finché era comodo. E quando non lo è più, allora spariscono. Diciamo di essere per l’uguaglianza? Siamo disposti a lottare per essa? A rischiare qualcosa? Diciamo di credere nello stato di diritto? Allora dobbiamo difenderlo quando è difficile, non solo quando è facile. Crediamo nella libertà di parola? Allora dobbiamo difenderla anche quando chi parla dice cose che ci fanno infuriare, che sono sbagliate e offensive. Per gli studenti universitari questo è importante. L’idea di cancellare un oratore, di impedirgli di parlare, anche se dice cose che trovo odiose, non è ciò che una università dovrebbe essere. Non è ciò che l’America dovrebbe essere. Lo lasci parlare. E poi gli spieghi perché ha torto. Barack Obama, Hamilton College - New York, 3 aprile 2025 Di Fulvio Giuliani

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    Dazi, crollano in apertura tutti i mercati a Oriente. Un tonfo collettivo per le borse asiatiche che aumenta un clima di drammatica incertezza sui mercati. Questi i primi risultati innescati dalla raffica di dazi imposti dal presidente Usa, Donald Trump. Sfumano così centinaia e centinaia di miliardi. Tokyo - 7,4%. Dopo i primi scambi, l'indice Nikkei è infatti sceso a 31.255 punti. Topix -8,14%. In forte calo anche l'indice Kospi della Borsa sudcoreana di Seul: -4,77%. L'S&P/ASX 200 della piazza d'affari australiana di Sydney è crollato del 5,83%. La Borsa di Hong Kong raggiunge il record negativo, crollata in avvio di seduta. L'indice di Hang Seng perde quasi un decimo del suo valore, cedendo 2.119,76 punti (-9,28%), a quota 20.730,05. Hsbc, nel dettaglio, registra -15,85%, Mentre i colossi hi-tech cinesi Alibaba e Tencent perdono nelle prime battute, rispettivamente il 9,72% e il 7,43%. Ancora peggio a Taiwan: dove l'indice ponderato della Borsa è crollato del 9,8% in apertura. Un dato che è strettamente collegato alla reazione negativa dei trader per i nuovi dazi imposti da Trump. Già la scorsa settimana, il risultato era stata una massiccia svendita sui mercati mondiali. Nonostante i crolli in borsa, i toni di The Donald non sembrano cambiare, anzi: "Questa settimana ho parlato con molti europei, asiatici, in tutto il mondo. Stanno morendo dalla voglia di fare un accordo sui dazi", ha dichiarato il presidente americano. Sui crolli delle Borse, dice: "A volte è necessario assumere farmaci per curarsi". Poi, inveisce nuovamente contro l'Ue: "L'Europa ha fatto una fortuna con noi. Ci ha trattato molto molto male". Ma stanno venendo al tavolo. Vogliono parlare, ma non si parla se non ci pagano un sacco di soldi su base annuale". Clicca sul link per leggere l'articolo completo (in aggiornamento): https://lnkd.in/dNFe8ckU

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    Tutti ricordiamo l’iconica scena del film cult “Non ci resta che piangere” (1984) in cui Benigni e Troisi sono alle prese con il gabelliere di turno. «Chi siete? Cosa portate? Quanti siete? Un fiorino!». Un mitico, ricorsivo siparietto. Ma non basta. Perché i dazi (in positivo e in negativo, come vedremo) non li scopriamo certo adesso. Sono sempre esistiti per generare un gettito contenuto – grazie alla ricchezza che arriva dall’estero – o per compensare aiuti di Stato altrui. I dazi come arma geopolitica sono invece tutta roba di Trump. Le gabelle ‘classiche’ esistevano già nella storica ‘mezzaluna fertile’ della Mesopotamia (leggi Hammurabi) più di 3mila anni prima di Cristo. Sono infatti stati trovati contratti commerciali, vergati con scrittura cuneiforme su tavolette d’argilla, in cui venivano registrate queste ‘tasse sugli scambi’. Del resto ancora oggi in diverse località (per esempio a Milano) nei quattro punti cardinali ci sono ancora le vestigia delle porte di accesso. Dove c’erano i gabellieri. I baby boomer possono forse ricordare gli slalom che si escogitavano per dribblare il dazio nostrano. Ovvero la tassa applicata ai beni che attraversavano i confini tra i Comuni. I commercianti rinforzavano ad esempio le balestre delle automobili per non dare nell’occhio quando contrabbandavano merci, compresi i vitelli provenienti dal contado. Quella vera e propria tassa particolarmente invisa al popolo venne abolita in Italia solo nel 1972, dopo oltre quarant’anni di vita. Comunque i dazi, già esistenti anche presso i greci e i romani (come pure le ‘zone franche’) risalgono sostanzialmente al Medioevo. Non per niente Benigni e Troisi ambientarono il loro film proprio sul finire di quel periodo. Il tema è scivoloso perché guerre commerciali, evasione fiscale, alleanze e conflitti bellici s’intrecciano. Essendo connessi alla territorialità e ai confini, questi tributi – perché di siffatta configurazione si tratta, a chiamarla con il suo nome – erano (come d’altra parte lo sono tuttora) collegati alla sovranità statale e avevano lo scopo di regolare gli scambi. La funzione delle dogane (presidiate dai soldati, come pure oggi dalla Guardia di Finanza) era quindi anche di carattere militare. Poiché si occupavano della difesa del confine e della protezione dei commerci e delle carovane. Già allora però l’istituzione dei diritti sulla merce in entrata e in uscita dal territorio determinava la diffusione di condotte finalizzate all’evasione delle gabelle. Come sempre succede in questi casi. L'articolo completo di Franco Vergnano continua al link qui sotto https://lnkd.in/d-PK62zG

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    Sabato mattina gli imprenditori italiani si sono alzati con un gran mal di testa. Perché nessuna impresa ha una cultura aziendale adatta a vivere in mercati protetti. Non ci sono più nemmeno gli strumenti immateriali, intellettuali, le esperienze che fino a trent’anni fa (e comunque con modalità più ‘morbide’) esistevano in azienda. Proprio perché esistevano i dazi. Inflazione bassa e liberi mercati con norme comuni o simili hanno reso la vita più semplice: non sarà più così. Gli Stati Uniti sono un mercato strategico, nel senso di determinante, per un numero ristretto di imprese. E molto probabilmente alcune di queste avevano già maturato o dovevano maturare la decisione di un investimento produttivo in qualche sperduto Stato americano. Con regimi fiscali e regole del lavoro favorevoli. Ma l’emicrania rimane, perché per chi deve pensare di trasferire oltreoceano parte della produzione si tratta di affrontare la scarsa propensione degli americani al lavoro manufatturiero. L’assenza o quasi di reti di subfornitura. E in ogni caso maggiori costi per i dazi su componenti e materie prime da importare. Elemento che vale anche per chi si trova già là. Con una ulteriore domanda, che riguarda la capacità di clienti e consumatori americani di assorbire l’inevitabile aumento di prezzo. Continuando a comprare quel prodotto, il cui prezzo oggi sconta positivamente migliori condizioni produttive. E prima ancora circola nella testa l’incertezza sulla opportunità o meno di investire di più o investire per la prima volta. Il futuro non è infatti per nulla chiaro: rimarranno i dazi? Rimarrà Trump? Perché per investire l’orizzonte dev’essere lungo e quattro anni fanno ridere. Per un numero maggiore di aziende gli Usa sono un mercato importante ma non strategico e qui il risultato è già definito. Diventerà da importante a opportunistico. Comincia insomma una traversata del deserto alla ricerca di nuovi clienti, anche magari tra quelli a cui i dazi americani hanno riservato un trattamento migliore. Saranno probabilmente mercati meno remunerativi (altrimenti vi si opererebbe già) ma non esistono strade alternative. Anche per chi considera gli Usa un mercato marginale o nullo le conseguenze saranno importanti. Primo, perché bisogna vedere quanti dei propri clienti italiani o esteri dipendono da quel mercato. Noi venderemo anche moda, lusso e Grana Padano che fanno prestigio ma siamo soprattutto componentisti sporchi di unto di officina. Secondo, perché sui propri mercati si affacceranno tutti quegli operatori – italiani e no – espulsi dal mercato americano e ora affannosamente alla ricerca di nuovi sbocchi. Risultato? Più concorrenza e più pressione sui listini. L'articolo completo di Flavio Pasotti continua al link qui sotto https://lnkd.in/dFcPVHbm

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